Svizzero-Albanese Deportato Ingiustamente dalla Turchia Dopo Essere Stato Confuso per Propagandista Russo

 Quella che avrebbe dovuto essere una vacanza rilassante ad Antalya, in Turchia, si è trasformata in un incubo per Agim B.*, cittadino svizzero di origine albanese. Invece di registrarsi in hotel con la sua compagna, è stato fermato dalla polizia di frontiera, accusato di essere un propagandista russo e deportato in Svizzera. Il bizzarro episodio, segnalato da blick.ch, ha sollevato interrogativi su errori di identità, indifferenza burocratica e i limiti della protezione consolare.

Svizzero-Albanese Deportato Ingiustamente dalla Turchia Dopo Essere Stato Confuso per Propagandista Russo
 Aeroporto di Antalya

Una Vacanza Finita Male

Tutto sembrava normale quando Agim B. e la sua fidanzata sono arrivati all’aeroporto di Antalya giovedì pomeriggio scorso. La coppia era impaziente di godersi la vacanza sotto il sole turco. La sua compagna ha passato il controllo passaporti senza difficoltà, ma Agim è stato improvvisamente fermato.

Secondo la loro testimonianza, la guardia di frontiera ha ripetutamente scannerizzato il passaporto svizzero, ma sullo schermo compariva un avviso. Ciò ha subito suscitato sospetto. È stato chiamato un ufficiale di polizia e poco dopo la coppia è stata portata da parte.

Invece di essere accolti come turisti, sono stati indirizzati a un’area d’attesa normalmente riservata ai richiedenti asilo respinti e alle persone in attesa di deportazione. “Era surreale,” ricorda Agim. “Non avevo fatto nulla di male, eppure sono stato trattato come un criminale.”

Accuse di Essere un Propagandista Russo

La spiegazione fornita dalle autorità turche ha scioccato la coppia: Agim sarebbe stato segnalato come propagandista russo che aveva pubblicato video anti-turchi sui social media. Il problema? Agim insiste sul fatto che posta pochissimo online, e ancor meno contenuti politici.

Nonostante abbia mostrato il passaporto svizzero, il suo casellario giudiziario pulito e la totale assenza di propaganda online, i funzionari hanno rifiutato di riesaminare il caso. È stato invece interrogato e trattenuto in una situazione di limbo, senza una chiara possibilità di appello o di difesa.

Senza Assistenza Consolare

Disperato, Agim ha contattato il Consolato Generale svizzero a Istanbul. Ma invece di un intervento diretto, è stato rimandato alla linea di assistenza del Dipartimento Federale Affari Esteri (FDFA) a Berna. Con sua delusione, gli è stato detto che il suo caso non rientrava in una “emergenza”.

Invece, gli è stata inviata una email con una lista di avvocati turchi da contattare se voleva presentare un reclamo. Ogni avvocato richiedeva un compenso anticipato di 400-500 franchi svizzeri—una cifra alta per una situazione che Agim considera completamente ingiusta.

Sentendosi abbandonato, Agim ha descritto la risposta svizzera come fredda e burocratica. “Mi aspettavo che il mio Paese mi sostenesse, ma non hanno fatto nulla,” ha dichiarato a Blick.

Una Lunga Notte in Detenzione

Le ore trascorrevano lentamente nell’area di trattenimento. Alla coppia non è stato fornito cibo, né aggiornamenti chiari, e pochissime informazioni. A un certo punto, la linea telefonica di Agim è stata disattivata perché non aveva attivato il roaming internazionale con il suo operatore svizzero Salt, lasciandolo ulteriormente isolato.

Solo all’una di notte è stato informato che sarebbe stato deportato su un volo verso la Svizzera alle 7 del mattino successivo. La sua vacanza era finita prima ancora di iniziare.

Costi Finanziari ed Emotivi

Le conseguenze non sono state solo emotive, ma anche finanziarie. Agim e la sua compagna si trovano ora a sostenere costi alberghieri a quattro cifre che non possono recuperare, oltre a una bolletta telefonica elevata a causa delle sue chiamate urgenti. Per un viaggio che avrebbe dovuto portare gioia e riposo, il danno—economico, psicologico e reputazionale—è stato grave.

Al suo ritorno in Svizzera, Agim ha espresso profonda delusione. “Sono estremamente frustrato. Le autorità svizzere non hanno fatto nulla per aiutarci,” ha concluso.

La Risposta Ufficiale del FDFA

Interrogato da Blick, il Dipartimento Federale Affari Esteri svizzero ha confermato la chiamata alla hotline ma ha difeso il suo ruolo limitato. “Il FDFA non può ottenere permessi di ingresso per Paesi terzi. L’assistenza del FDFA si applica solo una volta che le persone coinvolte hanno fatto tutti i ragionevoli sforzi da sole per superare l’emergenza, sia organizzativamente sia finanziariamente,” ha dichiarato il dipartimento.

Pur essendo tecnicamente corretto, per i cittadini comuni evidenzia un problema preoccupante. Per chi viene trattenuto ingiustamente o identificato erroneamente all’estero, l’aiuto consolare può sembrare più simbolico che pratico.

Implicazioni Più Ampie

Il caso di Agim B. evidenzia la vulnerabilità dei viaggiatori in un’epoca di sicurezza alle frontiere elevata e tensioni internazionali. Essere erroneamente segnalati dai sistemi elettronici può trasformare istantaneamente un turista rispettoso della legge in un sospetto criminale. Senza un intervento immediato, reputazioni e vite possono essere seriamente compromesse.

Solleva anche interrogativi su come le autorità di frontiera turche raccolgano e condividano informazioni e se eventuali errori nei database vengano mai corretti. Per il viaggiatore svizzero-albanese, l’episodio non è stato semplicemente un inconveniente personale—ma un chiaro promemoria di quanto possano essere fragili i diritti individuali quando si è intrappolati tra sicurezza statale e indifferenza burocratica.

Per ora, Agim e la sua compagna restano con l’amaro ricordo di una vacanza rovinata, perdite finanziarie e un profondo senso di abbandono. Il suo caso serve da monito per altri viaggiatori: anche con il passaporto “giusto”, nessuno è immune da errori di identità alle frontiere internazionali.

Resta da vedere se la Turchia rivedrà i propri database o se la Svizzera riconsidererà il suo approccio all’assistenza consolare. Ma una cosa è certa: per Agim, il sogno di una semplice vacanza ad Antalya si è trasformato in un incubo di sospetti, detenzione e deportazione.

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