Albania: La Repubblica della Transizione Permanente e dei Cittadini Accidentali

 In un mondo dipendente da statistiche, classifiche e patriottismo in PowerPoint, viveva un uomo così magnificamente ignorante da non saper distinguere tra la crescita del PIL e una ricetta per il pane a lievitazione naturale. Non sapeva cosa significasse “stabilità macroeconomica” e pensava che la “riforma strutturale” fosse qualcosa da fare alla colonna vertebrale.

Eppure — ed ecco lo scandalo — quando entrava in ospedale, i medici lo curavano senza chiedergli prima una busta abbastanza spessa da provocare una riforma spinale. Non aveva mai sentito parlare del Giuramento di Ippocrate, ma i medici si comportavano come se lo avessero giurato col sangue, non dimenticato in un cassetto etichettato etica facoltativa.

Non aveva mai letto il Codice di Hammurabi, ma viveva nella bizzarra illusione che i tribunali esistessero per fare giustizia e non per metterla all’asta come un vino d’annata. Le leggi di Newton gli erano estranee, ma quando arrivavano i terremoti, la sua casa restava in piedi — soprattutto perché il cemento non era stato allungato con l’acqua per finanziare la villa estiva del cugino di un appaltatore.

In breve, era catastroficamente incapace di essere un cinico moderno.

Il Grande Miraggio della Meritocrazia

Quest’uomo viveva in una fantasia pericolosa: la normalità.

Credeva che lavorando onestamente e pagando le tasse avesse, in qualche modo, diritto a una società funzionante. Credeva che gli ospedali servissero a curare, le scuole a educare, i tribunali a giudicare e gli edifici a restare in piedi per un elementare rispetto della fisica.

La cosa più offensiva di tutte: i suoi figli frequentavano le stesse scuole materne e pubbliche dei figli di sindaci, ministri e persino primi ministri. Nessuna ala VIP. Nessuna classe recintata. Nessun ossigeno d’élite.

Non si rendeva conto di quanto tutto ciò fosse fuori moda.

In una società balcanica veramente “sofisticata”, le élite non permetterebbero mai ai propri figli di condividere i parchi giochi con quelli dei contribuenti comuni. L’uguaglianza è inefficiente. La separazione è tradizione.

Il cittadino credeva di essere protetto da una forza invisibile. La chiamava “civiltà”. Pensava fosse Dio, il destino o il buon senso. In realtà era qualcosa di molto più fragile: una scelta politica che, per un periodo, aveva funzionato.

Il Funerale che Rovinò Tutto

L’illusione morì il giorno in cui morì un leader di primo piano.

Bandiere abbassate. Discorsi moltiplicati. I conduttori televisivi sussurravano come se la gravità stessa fosse sotto indagine. Per semplice curiosità, il cittadino guardò il funerale e poi lesse la biografia del leader — una figura profondamente legata proprio alla città che gli aveva garantito una vita così comoda, noiosa e dignitosa.

Fu allora che i punti si unirono.

  • Gli asili.
  • Le scuole.
  • Gli ospedali.
  • I ponti.
  • L’assenza di tangenti.

Nulla di tutto ciò era accidentale. Nulla era divino. Non era “semplicemente così”. Era il risultato di un leader che aveva insistito — quasi con scortesia — che il denaro pubblico dovesse essere usato per il pubblico.

E poi, come se fosse scritto dal realismo balcanico, il leader morì.

Quando Inizia lo “Speciale Albanese”

Quasi immediatamente, la realtà si corresse.

Lo stipendio del cittadino, che un tempo sosteneva una vita, ora sopravviveva a malapena alla bolletta elettrica. La “sanità gratuita” si rivelò una frase poetica che significa porta le tue bende e 200 euro per il chirurgo. Per ricevere cure decenti, imparò un nuovo termine medico: pagamento informale.

L’istruzione seguì lo stesso destino. I suoi figli non avevano bisogno di insegnanti migliori o scuole migliori — avevano bisogno di conoscenze. O di una tessera di partito. O almeno di un parente che conoscesse qualcuno che conosceva qualcun altro.

L’onestà, scoprì, era diventata un bene di lusso.

Nel Frattempo, Albania (1990–Oggi): Un Giorno della Marmotta di 34 Anni

Se il nostro cittadino accidentale avesse guardato a est, avrebbe riconosciuto immediatamente lo schema.

Dal 1990, l’Albania ha perfezionato una rara disciplina politica: la transizione permanente. La trama non evolve mai, cambia solo l’illuminazione. Il potere ruota ordinatamente tra il Partito Democratico d’Albania e il Partito Socialista d’Albania — blu oggi, viola domani, déjà vu per sempre.

I volti restano gli stessi, solo leggermente più rugosi e considerevolmente più ricchi. Le liti sono rumorose in televisione, teatrali, emotive. Dietro le quinte, gli accordi sono calmi, educati e sorprendentemente duraturi.

Tu governi per un po’.
Io governo per un po’.
Ci accusiamo a vicenda di corruzione.
Non smantelliamo mai il sistema che la produce.

Lo sviluppo esiste — ma soprattutto nei discorsi, nei rapporti dei donatori e nei cartelloni pubblicitari. Il progresso reale resta un mito, come una gara d’appalto onesta o un politico che si ritira volontariamente.

L’unica industria che prospera davvero è l’esportazione dei giovani.

I giovani albanesi non se ne vanno perché odiano il loro paese. Se ne vanno perché capiscono la matematica:

  • Sforzo contro ricompensa
  • Stipendio contro affitto
  • Integrità contro sopravvivenza

Perché restare in un gioco truccato in cui si può vincere solo diventando corrotti, politicamente obbedienti o invisibili — quando ci si può trasferire in Germania e costruire case che rispettano davvero le leggi di Newton?

La Morale (Se Crediamo Ancora in Esse)

Il nostro cittadino finalmente comprende la verità.

La forza invisibile che un tempo proteggeva la sua famiglia non era un miracolo. Era semplicemente l’assenza — temporanea e fragile — di una classe politica che tratta il bilancio nazionale come un bancomat personale.

Ora conosce le sue opzioni:

  • Imparare l’arte della tangente
  • Entrare in una formazione politica
  • Oppure imparare il testo dell’inno nazionale tedesco

E così la commedia più longeva d’Europa continua. Stessi attori. Stesso palco. Stesse promesse di “Cambiamento”, ora alla loro 34ª stagione.

L’unica differenza?

Il pubblico continua ad abbandonare il teatro.
E quelli che restano non ridono più — aspettano soltanto che le luci si spengano.

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