Pulizia etnica in Serbia

Di Jan Jansen

Già negli anni settanta-ottanta molte persone provenienti dall’ex Jugoslavia lavoravano all’estero come lavoratori migranti. Poiché lavoravano in paesi non vicini, come ad esempio Germania, Austria, Svizzera, non potevano tornare spesso nelle loro case in Serbia; in pratica, soltanto d’estate rientravano nelle loro abitazioni. Fuori dalla stagione delle vacanze, la polizia andava a controllare gli indirizzi. Naturalmente, però, non trovava nessuno a casa. Secondo le regole, i poliziotti tornavano qualche settimana più tardi per ripetere il controllo. E, ovviamente, ancora una volta non trovavano nessuno... Con questa “arma” in mano, la polizia serba porta avanti una pulizia etnica silenziosa.

Pulizia etnica in Serbia

Silenziosamente, nel sud della Serbia sta avvenendo una pulizia etnica. Essa si basa su un sistema ereditato dal regime totalitario della ex Jugoslavia. In tale sistema la polizia gode di un potere superiore a quello delle democrazie. L’amministrazione degli indirizzi è nelle mani della polizia. E con questa “arma” la polizia serba esegue una pulizia etnica silenziosa. Ma come funziona questo meccanismo?

Contesto

Nei primi anni di questo secolo vi è stata una guerra nel sud della Serbia, ispirata dal conflitto in Kosovo. La guerra terminò con l’aiuto della comunità internazionale. Da allora la Serbia aveva l’obbligo di includere albanesi nella polizia in proporzione alla loro presenza numerica. Ciò, più o meno, è stato realizzato. Ma oggi molti di quegli agenti sono andati in pensione e non sono stati sostituiti da albanesi, bensì da serbi. In questo modo, la polizia nel sud della Serbia non riflette più la composizione etnica reale. E ciò viene sfruttato per obiettivi nazionali serbi. (E questa non è l’unica violazione dei diritti degli albanesi in Serbia: il Consiglio Nazionale Albanese ha pubblicato un rapporto dettagliato).

Come funziona?

Fin dagli anni settanta-ottanta molti cittadini dell’ex Jugoslavia lavoravano all’estero come migranti. Poiché lavoravano in paesi lontani, come Germania, Austria e Svizzera, non potevano tornare frequentemente a casa, se non durante l’estate.

Fuori stagione, la polizia si recava a controllare le abitazioni, ma naturalmente non trovava nessuno. Secondo le regole, gli agenti tornavano settimane dopo per verificare nuovamente. E ancora non trovavano nessuno. A quel punto le persone venivano cancellate dal registro. Chi lavorava all’estero non lo sapeva, fino al momento in cui aveva bisogno di un documento o desiderava trasferirsi: solo allora scopriva di non avere più alcun diritto, perché era stato cancellato!

Si poteva fare ricorso alla polizia, ma la stessa procedura veniva ripetuta e l’appello archiviato. Si poteva proseguire per via giudiziaria, ma ancora una volta la stessa storia si ripeteva, fino alla Corte Suprema di Belgrado, senza risultato, perché tutto avveniva “secondo legge”. Alla fine, molti chiedevano la cittadinanza del paese in cui lavoravano. Erano stati cacciati dalla loro terra natale!

Per il Comitato di Helsinki in Serbia (Albanian minority on hold, Helsinki Committee for Human Rights in Serbia, Belgrado 2001) si tratta di pulizia etnica, perché attuata in modo sistematico.

Reazione dall’estero?

Ho pubblicato un articolo su “Koha Ditore” (13/9/2018) riguardo questo fenomeno. Con quell’articolo mi sono recato al Ministero degli Esteri olandese. Mi promisero che il problema sarebbe stato sollevato a Belgrado. E così fecero. Più tardi seppi la risposta di Belgrado: “può darsi che sia così, ma succede anche ai serbi che lavorano all’estero”. Dubito che sia vero, ma anche se lo fosse, sarebbe comunque una violazione dei loro diritti. Dunque, il Ministero degli Esteri olandese fu ingannato nel credere che non ci fosse alcun problema. In realtà, se fosse così, il problema sarebbe ancora più grave, trattandosi di una violazione dei diritti umani.

Reazione interna

Gli albanesi della Valle di Presheva hanno protestato tramite i canali ufficiali, cioè le tre Municipalità, l’Organizzazione degli Albanesi in Serbia, e il Deputato albanese nel Parlamento di Belgrado. Hanno protestato anche a dicembre dello scorso anno con una manifestazione. Ma, per quanto ne so, la situazione non è cambiata.

Un albanese, Safet Demirović, di Medvegja, ha seguito la via legale fino in fondo e ha perso la causa presso la Corte Costituzionale di Belgrado. (Il 14 novembre, la Corte Costituzionale della Serbia ha confermato che la cancellazione di un albanese della Valle è legittima. Non ha più alcun diritto in Serbia ed è ora apolide, Balkan Insight, 21/11/2014). Non so se farà ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Cosa si può fare?

Serve pressione internazionale, soprattutto dall’Europa. Questa pressione può essere collegata al dialogo sul Kosovo, poiché il governo serbo reclama tutti i diritti umani per i serbi in Kosovo, e giustamente. Ma quegli stessi diritti vengono negati agli albanesi in Serbia, anzi, violati sistematicamente. Questa situazione asimmetrica è terribile e così illogica da non poter continuare.

La signora Ardita Sinani (sindaca di Presheva, e prima donna sindaco in Serbia) ha riferito chiaramente davanti all’US Senate Albanian Issues Caucus tutte le violazioni dei diritti umani subite dagli albanesi in Serbia. Ma la questione della cancellazione anagrafica, a mio avviso, è la più urgente.

Secondo quanto ho visto nel sud della Serbia, questi problemi non esistono a livello di popoli, ma solo a livello politico dello Stato serbo.

Come è organizzato nei Paesi Bassi?

  1. La responsabilità per la gestione degli indirizzi spetta al Comune. Ma non è tutto: i funzionari non rispondono al Comune, bensì alla giustizia. Dunque neppure il sindaco può influire sull’amministrazione degli indirizzi. Ho lavorato in diversi Comuni e ho avuto responsabilità sull’anagrafe: era un dovere giurare in tribunale di agire secondo la legge e di non lasciarsi influenzare da nessuno, nemmeno dal sindaco. Così importante è l’anagrafe da noi.

  2. Se un cittadino olandese vive all’estero, la sua amministrazione anagrafica passa a un ufficio speciale all’Aia. Tramite questo ufficio i suoi diritti restano pienamente garantiti. Può votare dal paese in cui vive, può rientrare in Olanda e tutti i suoi diritti restano tutelati. Può registrarsi nuovamente in qualsiasi comune olandese con gli stessi diritti di chiunque altro.

  3. Un funzionario con responsabilità anagrafica può verificare se una persona vive davvero all’indirizzo dichiarato, ma solo per motivi importanti. Poi si procede con una registrazione simile a quella serba. Ma la persona non viene cancellata: viene soltanto segnata come “trasferita in luogo sconosciuto”. Se ritorna, viene immediatamente registrata di nuovo, dopo l’identificazione.

Jan Jansen, traduttore, giornalista e attivista olandese per i diritti umani, si è impegnato e continua a impegnarsi professionalmente nella documentazione e nell’advocacy contro le violazioni dei diritti fondamentali. Recentemente ha svolto ricerche sul campo e ha denunciato apertamente la pulizia etnica che la Serbia sta compiendo contro gli albanesi all’interno dei propri confini. Questo testo è stato scritto in lingua albanese dall’autore stesso. Viene pubblicato con il permesso dell’autore.

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